Dibattito a sinistra


FARE UN PASSO INDIETRO PER FARNE DUE IN AVANTI

A dodici anni dalla fondazione del PCL, bilancio di un fallimento PREMESSA Sono trascorsi ormai dodici anni da quando la maggioranza dell’Associazione Marxista Rivoluzionaria Progetto Comunista (minoranza di sinistra del Partito della Rifondazione Comunista) ruppe con il Partito della Rifondazione Comunista per dare vita al Movimento Costitutivo per il Partito Comunista dei Lavoratori e dieci anni dal primo congresso del partito che fu fondato a Rimini a gennaio del 2008, due anni dopo la spaccatura con il PRC. Dodici anni di vita per un partito non sono molti, ma sono comunque sufficienti per tracciare un bilancio e avviare una doverosa riflessione sulle attività sin qui svolte e sui risultati ottenuti. Va detto subito che di questa operazione avrebbe dovuto farsene carico il gruppo dirigente, lavoro che, invece, si è guardato bene dal fare, probabilmente perché consapevole che, facendolo, avrebbe messo nero su bianco il proprio fallimento o forse perché fino a poco tempo fa ha continuato a illudersi, e tentato di illudere gli altri, con la storiella, ripetuta come un mantra, che più o meno recitava così: “Nonostante il periodo avverso il partito tiene.” oppure in una versione più articolata che, comunque, diceva la stessa cosa: “Nella crisi generale delle organizzazioni comuniste ci manteniamo come la principale forza alla sinistra del PRC.”. Purtroppo per il gruppo dirigente, queste assurde proposizioni che hanno il sapore di vere e proprie barzellette e che per un decennio sono servite a tenere buoni i pochi militanti, oramai non sono più riproponibili e quindi si è passati dalla barzelletta al silenzio assoluto. Considerato che la matematica non è una opinione, per fare il quadro della situazione in cui oggi versa il partito basta ragionare un po’ sui numeri che, duri e crudi, descrivono, senza appello, la sua attuale drammatica condizione. 1- Al momento dell’uscita dal PRC si raggrupparono nel MCPCL circa milletrecento tra compagni e compagne, pochi rispetto alle potenzialità della rottura (dovuti alla disastrosa gestione dell’AMR che proprio al momento dell’uscita si spaccò in due dando vita a due piccoli partiti, il PCL ed il PdAC in rissa tra di loro) ma comunque un numero considerevole per gettare le basi per un progetto rivoluzionario. Dodici anni dopo il PCL è ridotto a un centinaio di militanti reali e tra i trecento e quattrocento aderenti, che, con ottima probabilità, esistono solo sulla carta. 2- Nei primi anni di vita il Partito aveva una presenza nazionale importante: escluse Puglia, Friuli, Trentino e Val d’Aosta, aveva sezioni attive in quasi tutte le regioni e in buona parte delle province. Nelle grandi città (esclusa Bari) il PCL aveva sezioni attive, le sezioni erano oltre cinquanta e a queste si aggiungevano alcuni nuclei di militanti. Oggi la presenza è dimezzata. Il PCL è praticamente assente in tutto il sud (Napoli, Palermo, Cagliari e Bari comprese) e nel centro e nel nord le sezioni che hanno chiuso sono in numero maggiore rispetto a quelle che hanno aperto. In Toscana, che era la regione con il maggior numero di militanti e di sezioni, il PCL si è praticamente dimezzato. A Roma sono anni che il Partito non esiste e tutto questo senza che il gruppo dirigente abbia mosso un dito per ricostruire una presenza numericamente degna nella capitale politica del paese. A Milano i militanti si contano sulle dita di una mano, a Torino il PCL è una sorta di ectoplasma, nonostante formalmente ci sia una sezione di oltre 15 militanti. Restano in piedi Bologna e Genova forse le uniche città dove il partito non è drammaticamente arretrato. Ultimo dato numerico, ma forse il più drammatico, è il consenso elettorale del partito. STRATEGIA ELETTORALE. DALLO 0,6 ALLO 0,08 Basta questo titolo per far capire il fallimento della strategia elettorale del PCL. Nei documenti congressuali è sempre stato ribadito che il PCL non fosse un partito elettoralista e che la sua partecipazione alle elezioni era solo per usarle come cassa di risonanza, mentre sull’argomento alleanze è stata sempre stata ribadita la formula che, non essendo le elezioni un terreno di fronte unico, bisognava presentarsi sempre con nome e simbolo e nell’ambito di questa sorta di contraddizione la dirigenza del PCL ha continuamente dato un enorme peso alla partecipazione elettorale, tanto da tracciare una realtà diversa: le elezioni sono diventate un momento centrale in cui tutto il partito doveva mobilitarsi; sono stati spremuti centinaia di compagni in estenuanti raccolte firme e se nelle prime edizioni elettorali cui il PCL ha partecipato, i risultati sono stati decenti, sia per il numero di voti ottenuti, sia considerato, soprattutto, il numero di adesioni di nuovi militanti, va detto subito, che, purtroppo, a iniziare dal 2012 la situazione è cambiata in peggio, per peggiorare ancora in seguito. I risultati sono stati pessimi su tutti e due i fronti e in più si è dissanguato il partito dal punto di vista economico e dal logorio dei militanti sottoposti a un inutile continuo stress. Ovviamente, a fronte di questi guasti, ci si è ben guardati dall’avviare un qualsivoglia ragionamento critico per tracciare almeno uno straccio di bilancio sulle strategie adottate. Quando da parte del gruppo dirigente è emersa la propensione a partecipare alle elezioni, questa cosa è stata sentita a tal punto, che, pur di essere presente alle votazioni, sono state stravolte anche le decisioni approvate dal congresso. Ci si è presentati prima alle regionali in Umbria, dove c’è stato un accordo con Casa Rossa (gruppo locale di matrice togliattiana) e in seguito alle ultime politiche dove l’accordo elettorale è stato deciso con Sinistra Classe e Rivoluzione. A questi accordi, se fossero stati fatti nell’ottica di costruzione di un fronte politico anticapitalista, noi non eravamo pregiudizialmente contrari ma bisogna avere l’onestà intellettuale di dire che questi, in effetti, sono stati una sorta di ripiego dal momento che il partito, vista l’emorragia di militanti, non era più in grado di raccogliere firme. Colpevolmente, invece, quando sarebbe stato opportuno chiudere un accordo tattico, si decise di non farlo: alle politiche del 2008 un accordo con l’allora Sinistra Critica ci avrebbe probabilmente permesso di raggiungere l’1% e di accedere al rimborso elettorale (si parla di 700.000 euro l’anno per 5 anni) e una simile cosa avrebbe certamente esemplificato la costruzione e il consolidamento del partito. Accadde che, a causa del suo settarismo, il gruppo dirigente tuonò contro Sinistra Critica colpevole di aver votato, anni prima, la fiducia al governo Prodi e se questa logica era valida nel 2008, nel 2017 è stata disattesa quando per sei mesi si è cercato l’accordo con Sinistra Anticapitalista (erede di SC). Ci si è presentati un po’ ovunque, dalle comunali fino alle politiche, con risultati sempre modesti e con un trend costante di arretramento fino ad arrivare al devastante e ridicolo risultato del 2018. Ma vediamo i numeri:  Nel 2008 alle politiche il PCL si è presentato con il proprio simbolo raccogliendo alla Camera 208.296 voti (per un totale dello 0,57%) mentre al Senato i voti sono stati 180.442 voti pari allo 0,55%.  Nel 2009 alle Europee il PCL si è presentato con il proprio simbolo ed ha raccolto 166.531 voti pari allo 0,55%.  Nel 2013 alle politiche il PCL si è di nuovo presentato con il proprio simbolo e ha raccolto alla Camera 89.995 voti pari allo 0,26% e al Senato 113.930 voti pari allo 0,37%.  Nel 2018 alle politiche il PCL ha fatto un cartello elettorale con SCR con il nome “Per una sinistra rivoluzionaria”, ottenendo alla Camera 29.176 voti pari allo 0,08% e al Senato 32.501 voti pari allo 0,1%.  Come si può vedere in dieci anni il Partito ha perso il 90% dei voti trasformandosi dalla principale forza politica nazionale a sinistra del PRC in un gruppetto irrilevante e invisibile che raccoglie, complessivamente, consensi inferiori allo 0,1%. IL DISASTRO ORGANIZZATIVO Il PCL sin dalla sua nascita ha ereditato le carenze organizzative della AMR Progetto Comunista, anzi le ha accentuate perdendo i finanziamenti che il PRC dava alle minoranze; si è andati avanti con sezioni abbandonate a sé stesse, senza alcun controllo sulla attività territoriale, senza alcuna verifica sui tesseramenti e senza alcuna verifica sul regolare pagamento delle quote. Purtroppo questa è stata la politica interna di governo nei dodici anni di vita del PCL: un lassismo e una cialtroneria che nel tempo hanno creato disorientamento e disillusione tra i militanti, con l’aggiunta del verificarsi di episodi poco chiari, diretta conseguenza delle carenze descritte e che hanno anche creato storture antidemocratiche durante i congressi. Ma l’apice della sciatteria organizzativa si è raggiunto con i casi eclatanti dell’ultimo congresso: a pochi mesi dal suo inizio la commissione non aveva i dati del tesseramento, arrivati solo dopo insistenti richieste della minoranza che poi al congresso presentò il documento alternativo Piattaforma B, e in maniera completamente sballata; alcune sezioni sono state ammesse al congresso nonostante non avessero fatto il tesseramento, altre hanno dichiarato un numero abnorme di militanti, cosa questa, mai verificata dalla commissione congressuale. Anche la conferenza dei lavoratori e delle lavoratrici di giugno 2018 si è svolta nel caos organizzativo: i relativi documenti sono arrivati, via mail, la sera precedente il congresso, senza che nessuno avesse la possibilità materiale di leggerli e tutta la conferenza si è svolta nel caos. Questi esempi, che sono solo gli ultimi in ordine di tempo, dimostrano come la disorganizzazione, oltre ad aver fatto arretrare il partito, ha posto anche seri problemi di democrazia interna. Il gruppo dirigente, in risposta alle proteste di tanti militanti ha sempre risposto accampando scuse risibili come quella ripetuta all’infinito che: “Dal momento che il partito ha una diffusione territoriale vasta, questo ne impedisce un corretto funzionamento.” o quell’altra, peggiore, con la quale si scaricavano colpe e mancanze sulle sezioni perché attuavano un federalismo di fatto. Con il passare degli anni e con la continua perdita di militanti, a fronte di un ridotto numero complessivo, avrebbe dovuto essere più facile gestire la macchina organizzativa ma, invece, è accaduto l’esatto contrario. GIORNALE, RIVISTA E SITO. TUTTO QUELLO CHE NON SI DOVEVA FARE È STATO FATTO L’annosa e ormai noiosa discussione sugli organi di informazione del partito è più simile a un racconto comico che alla discussione di un partito rivoluzionario. Senza scendere in dettagli tecnici, cosa fatta diverse e svariate volte scontrandoci con un vero e proprio muro di gomma, va ancora una volta ribadito che sono stati gettati nel secchio della spazzatura decine di migliaia di Euro. Il giornale, malgrado il cambio di testata, rimane uno strumento inutile: oltre ad essere graficamente brutto, propone articoli inadatti. È semplicemente invendibile e in alcuni casi anche è controproducente, dal momento che è fatto talmente male che dà una immagine ancora peggiore del partito. La rivista, che per un partito rivoluzionario dovrebbe essere il trimestrale che aiuta i militanti nella loro formazione, in 12 anni è stata stampata solo quattro cinque volte e ogni volta in maniera raffazzonata. Il sito internet oltre ad essere orrendo graficamente è organizzato male: possiede poche rubriche, non ci sono i tag negli articoli (rendendoli quindi introvabili per argomento), mancano la maggior parte dei vecchi numeri del giornale in PDF, non funziona la newsletter e altre carenze consimili. Praticamente un vero e proprio disastro: in un momento in cui una buona parte del consenso lo si raccoglie su internet, il PCL è rimasto indietro anni luce. Anche su questo argomento sono state fatte tante proposte migliorative, mai prese in considerazione, accampando scuse risibili, che sarebbero state anche comiche se non ci fosse stato da piangere. È incommentabile il fatto che alla proposta di rifare il sito in maniera gratuita, affidando il suo progetto e la sua esecuzione a un esperto, sia stato risposto che: “Il sito lo possono toccare solo militanti del PCL.”, quindi se ne deduce che se tra i militanti non ci sia, o non ci sarà, qualche esperto di informatica il sito è destinato a rimanere la porcheria che è adesso, con tutte le sue carenze. Sui social, poi, le cose vanno peggio: partito e portavoce sono assenti da Twitter, non c’è un canale Youtube, non c’è un gruppo Telegram dove anche i simpatizzanti si possono iscrivere, su Facebook, invece, il PCL è presente ma anche qui sconta i pesanti ritardi di cui è colpevole. L’INTERVENTO TRA I GIOVANI E L’INCONCLUDENZA DEL PARTITO Il PCL ha fin dalla sua nascita avuto difficoltà a radicarsi tra i giovani ed in particolare tra gli studenti, vuoi per motivi oggettivi: il momento difficile, la crisi del movimento studentesco e giovanile, vuoi per motivi soggettivi, una immagine vecchia del partito e una non comprensione dei fenomeni giovanili. Solo in due momenti c’è stata la possibilità di un salto di qualità, ma nonostante le numerose sollecitazioni non si è mossa foglia. Il riferimento è all’anno 2012, quando a Firenze la cellula studentesca del PCL costituì il CSR e per un breve periodo riuscì a portare in piazza alcune centinaia di studenti dietro al proprio striscione e a partecipare a svariate occupazioni delle scuole in città. L’unica risposta che si seppe dare, furono le assurde, dogmatiche e ridicole polemiche di alcuni compagni sul fatto che la sigla CSR non conteneva il simbolo del partito e quella è stata un’occasione persa, perché negli anni successivi, i compagni non sono riusciti a consolidare la struttura perdendo così tutto il terreno conquistato. A Napoli dal 2014 al 2016 si era formato il CSR che ha avuto un seguito importante in città riuscendo a organizzare cortei e spezzoni di centinaia di giovani, ma anche in questa caso l’apporto della direzione nazionale del partito è stato pari a zero, anzi, in più di una circostanza si è remato contro, tendendo a sminuire quella esperienza ed è ovvio che in un clima del genere le conferenze studentesche e giovanili non siano, poi, mai riuscite a dare una linea comune ai giovani. LA TATTICA SINDACALE, APPIATTIMENTO SULLA CGIL Dulcis in fundo della somma di tutti questi errori, dell’incapacità e in molti casi, purtroppo, del disinteresse sin qui mostrati, c’è da parlare della strategia sindacale adottata dal partito, strategia che si può riassumere in quattro lettere: CGIL. Assumendo in maniera dogmatica gli scritti di Lenin (va ricordato che si tratta di documenti scritti, oramai, cento anni fa, in un contesto e in situazioni completamente diverse da quelle di oggi) la strategia sindacale del partito si è attestata su un mero intervento di testimonianza in un sindacato giallo, la CGIL millantando l’intervento del PCL, come un successo nella minoranza. IL SINDACATO È UN’ALTRA COSA In dodici anni non è mai stato fatto un bilancio critico di questa strategia, quali risultati abbia prodotto per il Partito, quali lotte si sia stati capaci di intraprendere e portare avanti, quanti militanti si sia stati in grado di acquisire e coinvolgere. Tutto si è limitato a esaltare alcune posizioni conquistate nella minoranza, frutto non di una radicalizzazione di settori operai che abbiano aderito alle nostre posizioni ma di una logica da inter gruppo dove le organizzazioni politiche che hanno dato vita alla minoranza, si sono spartite le cariche. Di contro c’è sempre stata una grave sottovalutazione del lavoro da svolgere nel sindacalismo di base, dove pure militano molti compagni del PCL. Non si è fatto quasi nulla per costruire un fronte di lotta unitario del sindacalismo combattivo al di là delle sigle, ci si è semplicemente e supinamente limitati ad aderire agli scioperi annuali. LA BATTAGLIA PER LA RICOSTRUZIONE DELLA IV INTERNAZIONALE Questa è una tappa colpevolmente disattesa, dove il PCL è rimasto per dieci anni attendendo quello che sarebbe dovuto essere il congresso del Coordinamento per la Rifondazione della IV Internazionale (CRQI), attesa che ha logorato entusiasmi, militanza, aspettative, lasciando tutti con un pugno di mosche in mano. A seguito di questo e in tutto questo periodo, il Partito è rimasto bloccato, senza mai chiarire ai propri militanti, in maniera netta e chiara il perché di quanto accadeva. Il fatto che ci fossero dei problemi, era chiaro a tutti, ma non si è mai capito quali, se non che tra PCL è Partido Obrero ci fossero divergenze sull’analisi dell’attuale fase di crisi del capitalismo e di conseguenza il PO veniva descritto nei documenti come catastrofista. Purtroppo, poi, lo scorso anno, come un fulmine a cielo sereno, è arrivata la lettera di espulsione del PCL dal CRQI, con accuse pesanti e qualcuna anche fuori luogo, accuse che però, in buona parte, erano le stesse che facciamo noi al partito: incapacità organizzativa e confusione nella linea politica internazionale Al PO, come prevedibile, si sono aggiunte anche le altre organizzazioni del CRQI e così è finita l’appartenenza del PCL a una sfera internazionale. Dopo la rottura si è cercato di correre ai ripari aprendo una discussione con due gruppi della sinistra del Segretariato Internazionale, Anticapitalismo e Rivoluzione della Francia e Izar della Spagna, rischiando così una nuova impasse che per anni bloccherà nuovamente il partito visto che queste due organizzazioni, con certezza più che certa, non romperanno con il SU per costruire una mini internazionale con il PCL. IL PCL HA FALLITO, TRAIAMONE LE CONCLUSIONI Il fallimento del PCL è palese. Va aperta una riflessione per capire se il partito sia ancora recuperabile o se ormai è invece un cadavere in attesa di sepoltura. Sotto questo aspetto, purtroppo, non riusciamo a essere ottimisti, siamo convinti che oramai il PCL sia irrimediabilmente malato e che al momento non ci siano medicine che lo possano salvare da una lunga agonia che si potrà protrarre anche per anni (pensare che ci sono gruppi che si considerano “il Partito”, ma che da cinquanta anni non superano le poche decine di militanti), noi però, da buoni marxisti, siamo contro l’accanimento terapeutico e a favore dell’eutanasia. Nella fase attuale è utile la forma partito leninista? La domanda che dobbiamo porci è questa. Abbiamo detto che il PCL è irrimediabilmente malato e che quindi c’è bisogno di ricostruire una organizzazione che dia una prospettiva politica a quei compagni che sono usciti delusi dalle esperienze dei piccoli partitini dell’area marxista rivoluzionaria (PCL, PDAC, SCR, SA, ecc.). Crediamo che il PCL, come tutti gli altri piccoli o minuscoli gruppi dell’area marxista rivoluzionaria, sconti una impostazione politica sbagliata per l’attuale momento dello scontro di classe. Organizzare un gruppo di pochi militanti (poche decine o qualche centinaio non cambia la sostanza) autoproclamandolo partito in contrapposizione a tutti gli altri gruppi, che con la stessa logica si sono autoproclamati partito, crediamo che sia assolutamente deleterio. Spesso e volentieri tra un gruppo e l’altro ci sono pochissime differenze ma questo non basta a evitare scambi di offese e pubbliche accuse come centrista, opportunista, riformista e altre amenità simili che sono la dialettica corrente tra i vari gruppi, tutti convinti di essere depositari della verità di sinistra e legittimi eredi del pensiero di Lenin e Trotskij dove purtroppo, il più delle volte, i vari gruppi sono impegnati in questa inutile verbosità piuttosto che nell’organizzare la lotta di classe. In Italia oggi esistono almeno nove organizzazioni che si definiscono trotskiste:  Partito Comunista dei Lavoratori  Sinistra Anticapitalista  Sinistra Classe e Rivoluzione  Frazione Internazionalista Rivoluzionaria  Prospettiva Operaia  Resistenze Internazionali  Lega spartachista d’Italia  Nucleo Internazionalista d’Italia  Collettivo Guevara Ognuna di queste è convinta di essere il verbo della sinistra e quindi di essere “il Partito” e ognuna di queste, nel totale rigetto culturale e politico delle altre, si è anche affiliata a livello internazionale a una delle oltre dieci “IV internazionali” attualmente attive a livello mondiale. Siamo al paradosso che a ogni nuova scissione il nascente gruppo si affilia ad una delle internazionali rimaste libere, non sulla base di eventuali affinità politiche ma semplicemente cercando un appiglio internazionale, ponendosi la disarmante domanda: “Ma che trotskista sei non hai la tua IV?”. Esempio calzante di questa logica fu il caso del Partito di Alternativa Comunista che dopo la scissione dal futuro PCL andò ad affiliarsi alla LIT morenista, dopo averne detto per anni peste e corna e dopo aver cercato affannosamente una collocazione. In Italia, sono quindi ancora possibili altre tre o quattro scissioni, se non ci siamo persi per strada qualche IV internazionale nuova, poi i posti vacanti internazionali saranno finiti, ma alle brutte c’è sempre la Lega per la V Internazionale dei simpatici compagni austriaci (che vantano sezioni in oltre dieci nazioni!). Solo questo quadro disarmante e demoralizzante dovrebbe far riflettere i gruppi dirigenti delle varie organizzazioni. Con quale credibilità ci presentiamo alla nostra classe e cosa pensiamo di poter offrire a quanti sono disposti a far militanza. QUALE È LO STRUMENTO ADATTO? Oramai militiamo da dodici anni nel PCL e questa nostra militanza, che non rinneghiamo in alcun modo, ci insegna che oggi, l’unica strada percorribile sia quella dell’unità a partire dal basso, con il progetto di unire le lotte, interconnettere i lavoratori combattivi, a prescindere dalla loro appartenenza sindacale, organizzare il proletariato migrante, costruire comitati antirazzisti e antifascisti, intervenire nella questione di genere e per fare questo, vista la nostra esperienza di militanza di piazza, siamo convinti che non sia necessario un partito ultra centralizzato e dogmatico. Negli ultimi anni, nessuna delle organizzazioni prima citate, non solo non è stata capace di avviare e governare una lotta, ma neanche di avere un peso, seppur minimo, nello scontro di classe nel nostro paese e purtroppo, tutte sono state e rimangono del tutto ininfluenti, nelle dinamiche di questo tipo e la domanda che sorge spontanea è: “Ci sarà pure un motivo?”. Riteniamo che le ragioni siano più di una e qui proveremo a spiegare.  In Italia, come del resto in molti altri paesi, europei e non, il movimento operaio viene da una serie di sconfitte drammatiche. I partiti comunisti di matrice o di derivazione stalinista sono stati spesso responsabili di queste sconfitte. Basti pensare nel nostro paese al ruolo nefasto che hanno avuto prima il PCI e poi il PRC, anni e anni di tradimenti hanno creato discredito verso il nome comunista e verso simbolo della falce e martello. Quando i nostri militanti si presentano nelle piazze, nei mercati, dinanzi ai luoghi di lavoro, scontano tutto questo: vengono percepiti come un qualcosa di vecchio e inutile e a questo va aggiunto lo screditamento subito dal termine partito che in Italia è, oramai, sinonimo di malaffare e corruzione.  Sicurezza, viziata, dei gruppi è la convinzione di esser sempre depositari di una, o della, verità e di avere sempre la soluzione, che, purtroppo, se confrontiamo documenti e articoli delle varie organizzazioni, è sempre stata la stessa, scontata e priva di progettualità: costruire un partito, che sia il PCL, il PDAC, o una sigla simile.  Altro difetto tipico delle piccole organizzazioni è il settarismo; dal momento che ognuna di loro è convinta che sarà il futuro partito che guiderà il proletariato al potere, ognuna tira diritta per la sua strada senza rendersi conto di esser sempre più sola e isolata. C’è bisogno invece di una organizzazione agile, che abbia la capacità di attirare il nuovo proletariato tra le proprie fila, che si sviluppi tra le lotte, una organizzazione leggera di tipo federale che cerchi di rimettere insieme tutti i compagni e le compagne che abbiamo perso per strada, ma anche tutti i gruppi, i collettivi, che si richiamano al marxismo rivoluzionario. Una organizzazione democratica, dove sia garantito il diritto al dissenso anche pubblico, dove ad ognuno verrà chiesto di fare un passo indietro ma senza dover rinnegare il proprio passato. Una organizzazione dove la discussione dovrà essere aperta, dove si potranno sviluppare dibattiti pubblici, siti internet, giornali di tendenza, senza dover passare sotto la gogna di quel centralismo democratico, oggi in mano a dirigenti il cui fallimento è a 360 gradi. Il problema non è infatti il centralismo democratico (che in una fase diversa a quella attuale sarà imprescindibile), ma l’abuso che di esso viene fatto, tipico delle sette. PER UNA ORGANIZZAZIONE POLITICA IN GRADO DI INCIDERE SULLA REALTA’ Siamo comunisti e siamo rivoluzionari. Crediamo che il capitalismo sia irriformabile e crediamo che la futura società comunista non potrà sorgere se non sulle macerie del capitalismo e della democrazia borghese. Ci riconosciamo in quel filone di pensiero che va da Marx a Lenin a Trotskij. Ci ispiriamo alla comune di Parigi, ai primi anni della rivoluzione bolscevica, alla rivoluzione spagnola, ai moti che hanno scosso il nostro paese dal 1968 al 1977. Crediamo fermamente nella necessità del partito come strumento indispensabile per l’emancipazione del proletariato. Riteniamo però che l’attuale momento di estrema crisi del movimento operaio e della sinistra rivoluzionaria richieda dei passaggi intermedi imprescindibili, senza i quali si rischia di costruire, di nuovo, una piccola setta. È per questo che proponiamo un passaggio intermedio che dovrà nascere dal basso, da assemblee e da riunioni territoriali, con l’obiettivo di costruire un soggetto politico che sia la casa di tutti i marxisti rivoluzionari e che abbia le caratteristiche di essere:  Una organizzazione comunista che attinga dal migliore patrimonio del marxismo rivoluzionario.  Una organizzazione democratica dove sia garantito il diritto al dissenso.  Una organizzazione internazionalista, perchè la lotta contro questo sistema non può essere altro che su scala mondiale.  Una organizzazione antisovranista, perché non è con la sovranità nazionale che si sconfigge un sistema ingisuto ma solo abbattendolo e costruendone uno nuovo.  Una organizzazione antifascista, perché oggi la battaglia antifascista è centrale nello sviluppo e nella ricostruzione di una coscienza di classe.  Una organizzazione antirazzista, perché il proletariato immigrato dovrà essere un soggetto essenziale nello sviluppo di una organizzazione rivoluzionaria.  Una organizzazione femminista, perché non ci può essere emancipazione senza l’abbattimento della società patriarcale.  Una organizzazione anti sessista e anti omofoba, perché le battaglie per i diritti civili sono parte della lotta per la costruzione di un mondo diverso.  Una organizzazione ecologista, perché capitalismo e difesa dell’ambiente non potranno mai andare d’accordo. Questi sono i paletti e le basi su cui è necessario e vogliamo aprire un confronto con tutti quei compagni e con tutte quelle organizzazioni, che condividono con noi la difficoltà del momento e l’estrema inadeguatezza delle attuali forze politiche che dovrebbero rappresentare la classe lavoratrice. L’operazione che ci proponiamo è di completa rottura con il vecchio modo di concepire le organizzazioni rivoluzionarie. Pensiamo ad un movimento perché non dovrà essere qualcosa di confezionato a tavolino da vecchi dirigenti rimasti sempre a galla tra scissioni e fallimenti, ma qualcosa in divenire, una organizzazione fluida e aperta al contributo di tutti coloro che si riconoscono in quanto sin qui scritto. Un movimento perché quello che vogliamo costruire non è un partitino dello zero virgola ma un insieme di compagni e compagne determinati a incidere nella lotta di classe. Certamente si tratta di fare un passo indietro rispetto a chi è convito di possedere tutte le certezze: di essere sempre nel giusto, di perseguire una linea corretta, di essere “il Partito” e depositario di altre convinzioni del genere, ma questo passo indietro va fatto per non cadere in un fosso dal quale non si uscirà mai e soprattutto per farne due in avanti con uno strumento più utile ed efficace.
Firenze, 07/10/2018