IL CAPITALISMO E GLI SCENARI DI GUERRA

Area che tutt’oggi porta le cicatrici della guerra e le sue conseguenze, che, per molti versi, è ancora in atto come in Siria, in Libia, nello Yemen: la logorante e logorata crisi del capitalismo lambisce anche il Venezuela, priva però del sofismo dello scontro religioso.

La crisi venezuelana è solo il tassello di un quadro di guerra che diventa più ampio. Se Washington alla fine del 2018, dando fiato alle trombe, aveva dichiarato di aver sconfitto l’Isis e lo jihadismo (falsità piuttosto evidente), oggi è in trattativa con ciò che resta di Daesh. Ugualmente è per al Baghdadi in chiave anti sciita contro il nemico consueto della Repubblica degli Ayatollah, rinfocolando e riproponendo la competizione armata tra sciiti e sunniti che hanno fatto tabula rasa di buona parte del Medio Oriente.

Nel 1980 la conflittualità verso l’Iran degli Ayatollah ebbe risultati alterni. Oltre all’embargo gli Usa diedero via libera a Saddam Hussein perché annientasse l’appena nata repubblica di Khomeini, colpevole di aver scacciato gli Usa dal suolo iraniano e dal suo sottosuolo petrolifero. Ma nel 1990, quando Saddam, indebitato per gli 8 anni di guerra contro i Pasdaran, tentò di allungare le mani sul Kuwait, si trovò contro Washington per la semplice ragione che gli interessi dell’imperialismo maggiore non coincidevano più con quello minore.

Lo stesso vale per l’aggressione alla Libia di Gheddafi (2011), di cui ancora sono chiaramente percepite le conseguenze sotto forma di guerra civile che, ovviamente, vede le due super potenze e i loro alleati di strada attestate ai lati opposti del conflitto, dopo che tutti i tentativi di spartizione della Libia sono penosamente falliti.

In questo quadro la Russia si è limitata a contrastare le azioni dell’avversario senza prendere iniziative d’attacco. Lo ha fatto in Siria con successo. Lo sta facendo in Libia sostenendo Haftar contro il governo di Tripoli. Lo fa con l’Iran dando a questo appoggio, contro gli embarghi americani. Lo farà molto probabilmente con il Venezuela di Maduro, in caso di intervento americano.

Naturalmente, che gli imperialismi giochino d’attacco o di rimessa, dipende unicamente dai rapporti di forza, dalle alleanze da portare avanti e da quelle da concludere, dalle opportunità che si aprono o, più semplicemente, da chi per primo fa “asso piglia tutto”, costringendo l’imperialismo concorrente a rispondere a colpo subito.

Se ci ritroviamo ad oggi a dibattere su episodi di guerra, a ricercare le cause contingenti dei vari conflitti, rendicontare i morti e segnarci al dito le devastazioni ambientali che gli imperialismi producono, è soltanto perché la crisi in atto sta criminalmente accelerando gli scontri.

Il sistema economico che ci informa, è dentro una crisi che contempla un’alta composizione organica del capitale (troppe macchine e troppo pochi lavoratori in proporzione) che abbassa la produzione, riduce i saggi del profitto, incrementa la speculazione e conduce alla guerra come unica soluzione ai suoi insanabili problemi.

La guerra in Iraq, in Siria, in Libia. L’aggressione al Venezuela, apre scenari, in cui gli scontri non saranno più per procura come avviene tutt’ora.

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