Dal Collettivo Lenin di Genova

Contro la guerra imperialista, costruiamo l’autonomia politica operaia e proletaria.

Inevitabilmente quanto sta andando in scena in Ucraina polarizza l’attenzione politica di tutti oltre a far trattenere il respiro al mondo intero. Domandarsi se l’Ucraina sarà il punto di non ritorno è, a tutti gli effetti, una domanda non solo lecita ma estremamente realistica. Da giorni su ciò, come in fondo è naturale, sono concentrate una infinità di analisi, prese di posizioni e via dicendo. In tutto questo vi è però un grande assente, il perché della guerra. Ciò che va posto in evidenza, rovesciando esattamente il paradigma assunto dai più come elemento fondante degli eventi in corso, è come il conflitto in atto in Ucraina non sia altro che l’aspetto fenomenico di una tendenza oggettiva propria dell’imperialismo. In altre parole non è l’incidente ucraino a rendere possibile lo scatenamento di un conflitto internazionale ma è la tendenza alla guerra dell’imperialismo che non può far altro che produrre incidenti di questo tipo. Questo il punto fermo dal quale, come tutti gli eventi storici pregressi sono lì a testimoniare, dobbiamo partire al fine di non farci irretire dalle diverse narrazioni imperialiste e affermare con forza un punto di vista operaio e rivoluzionario.

L’imperialismo è guerra e lo è indipendentemente dalle volontà degli attori politici che gestiscono e dirigono gli Istituti capitalistici. La borghesia, per suo limite storico, coglie il movimento storico sempre post festum mentre è proprio della teoria marxiana la capacità della anticipazione delle tendenze storiche. A dimostrazione di ciò vale sicuramente la pena di ricordare come nel 1914, per quanto grave, la morte di un arciduca per mano di un gruppo nazionalista non era poi un episodio così fuori dal mondo o, per lo meno,non lo era al punto da far precipitare l’Europa, la Russia e gli Stati Uniti in una guerra neppure immaginabile solo un attimo prima. Nessuno degli attori politici che diede fuoco alle polveri immaginava minimamente a quali scenari sarebbe andato incontro tanto che, Governi e Stati maggiori di tutti i paesi, pensavano a un conflitto non dissimile da quello franco – prussiano del secolo precedente. Non tanto diversamente andarono le cose nel 1939. Perché l’annessione di Danzica, che tra l’altro era un città tedesca che Versailles aveva deciso di scorporare dalla Germania, dovesse essere diversa dalla Ruhr, dall’Austria o dalla Cecoslovacchia non è facile comprenderlo così come rimane di difficile comprensione il tipo di guerra a cui si è andati incontro visto che, all’inizio, più che di una guerra sembrò trattarsi di una burla subito ribattezzata “la strana guerra”. Questo, andando al sodo, cosa ci racconta se non che sono processi oggettivi e non singole volontà a delineare i processi storici e che la guerra non è altro che il frutto di una tendenza oggettiva dell’imperialismo il quale, attraverso l’immane distruzione di capitale costante e capitale variabile, risolve la sua crisi e inaugura un nuovo ciclo di accumulazione capitalista? Questo il dato obiettivo dal quale occorre partire. La guerra imperialista è il palcoscenico reale mentre, gli attori chiamati a recitare un ruolo di primo piano, è in fondo secondario. Questo il presupposto marxiano con il quale affrontare la “crisi Ucraina”. Detto ciò, ovviamente, vi è poi la parte fenomenica che non è sicuramente trascurabile.

Osservando le narrazioni che entrambi i contendenti ci propongono verrebbe da dire che tutti hanno ragione. Ha ragione sicuramente la Russia che si vede obiettivamente accerchiata dalla NATO, dopo che questa aveva promesso di non espandersi a est, ha ragione sicuramente l’Ucraina affermando che, in quanto stato sovrano, può decidere in tutta autonomia da che parte stare. Ma queste due narrazioni, in fondo ugualmente legittime, cosa ci raccontano? Raccontano che in corso vi è uno “scontro di potenza” tra forze imperialiste il cui obiettivo è il controllo e il dominio. Non c’è un fronte della liberazione e un fronte dell’oppressione ma due fronti i quali, in maniera del tutto identica, perseguono obiettivi di sopraffazione e di comando. In questo scenario, ogni forma di complicità con uno dei due contendenti, non significa altro che aderire a un imperialismo piuttosto che a un altro. La Russia non è il baluardo progressista che si contrappone all’imperialismo NATO ma una potenza imperialista che gioca una partita mortale contro il suo omologo occidentale mentre l’Ucraina la quale, detto per inciso, annovera tra le sue schiere corpose quote di neonazisti nostalgici di Bandera e della fattiva collaborazione fornita alle truppe naziste nel corso della Seconda guerra mondiale, non è la “nazione in armi” in lotta per la propria autodeterminazione ma un semplice fantoccio utilizzato come ennesimo cavallo di troia dal blocco NATO contro il suo omologo orientale. In questo scenario operai e proletari non hanno amici, lottare contro la Russia e contro la NATO è la sola e unica “linea di condotta” operaia e proletaria. Guerra alla guerra l’unico programma operaio.

Ciò diventa tanto più chiaro nel momento in cui osserviamo le ricadute immediate che la guerra comporta anche per noi che viviamo nelle retrovie. La guerra avrà dei costi immani e una “politica dei sacrifici” è quanto si è immediatamente prospettato. Questi sacrifici non saranno certo i padroni e i loro governi a farli ma le masse operaie e subalterne. Con ogni probabilità l’inflazione,già in atto, subirà un’impennata di tale portata da vedere ridurre drasticamente il potere di acquisto dei salari mentre l’emergenza bellica farà sì che la repressione di ogni lotta operaia e proletaria per la difesa delle proprie condizioni di vita potrà essere ampiamente giustificata in nome della “unione sacra” e degli “interessi superiori” che la guerra si porta appresso. La presenza del nemico esterno consentirà, in prima istanza, ai padroni di regolare i conti con il proprio nemico interno, quel nemico siamo noi. Questa è la guerra che dobbiamo prepararci a combattere. Dentro questo scenario dobbiamo imparare a vivere e lottare ed essere in grado di piegare agli interessi operai e proletari le macroscopiche contraddizioni a cui la guerra rimanda. Guerra alla guerra significa non pacificare il fronte interno, rispedire al mittente la “politica dei sacrifici”, allargare e radicalizzare il conflitto sociale. Guerra alla guerra significa allargare e potenziare l’organizzazione autonoma degli operai e dei proletari, alla “unione sacra” dei padroni contrapponiamo l’unita internazionalista degli operai e dei proletari. Questa unità la viviamo ogni giorno nelle fabbriche, nei magazzini, nei posti di lavoro, nelle strade delle periferie metropolitane e nelle prigioni, questa è la nostra “sacra unione”, e questa “sacra unione” vi è irriducibilmente nemica.

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