CILE, È LOTTA DI CLASSE

Con il coprifuoco a Santigo, in Cile, il passato sembra voler far capolino. È dai tempi drammatici ed insanguinati di Pinochet che non scattava la drammatica misura per mettere a tacere le proteste di piazza, esplose nel giro di tre giorni con l’aumento del prezzo dei biglietti della metropolitana (il biglietto è stato portato da 800 a 830 pesos (circa 1,04 euro) nelle ore di punta. Già a gennaio il costo era stato ritoccato di 20 pesos) e dove i militari in strada, l’ultima volta, si erano visti nel 1990 dopo la fine della dittatura (non paragonabile alla sola presenza di controllo a seguito del terremoto nel 2010).

Lo schieramento di militari e “carabineros”, ha affrontato una rivolta improvvisa ma che maturava da tempo, sottolineando le forti disparità e diseguaglianze sociali, in un Paese con estreme differenze di classi.

In realtà, tale provvedimento non ha fatto che rendere più evidente e quindi di misura non colma, il malcontento delle classi popolari, in seguito al progressivo aumento del costo della vita e che ha avuto il suo conseguente riversarsi in manifestazioni poderose, alla cui testa vi è la mobilitazione degli studenti a Santiago.

Nelle ultime ore pertanto, gli scontri hanno alimentato la rabbia dei manifestanti, immediatamente repressi dalle forze dell’ordine e in cui tre persone hanno perso la vita per l’incendio divampato in un supermercato espropriato nel comune di San Bernardo. A seguire, in serata, il governo, sia nella capitale che in altre zone limitrofe, ha stabilito il coprifuoco dalle 22 alle 7 del mattino.

Si prevedono come da costituzione, quindici giorni di estrema tensione con l’esercito e la polizia a fare controlli e blocchi per le strade della capitale e dove limitate saranno la libertà di movimento e di riunione.

Nella notte tra venerdì e sabato, il fumo dei lacrimogeni, utilizzato dalle forze dell’ordine per disperdere i manifestanti, aveva reso saturo e impraticabile per ore il centro della città.
Nonostante questo, gli studenti continuavano ad allestire barricate agli ingressi delle stazioni della metropolitana, ad attaccare i veicoli della polizia, a lanciare pietre, dare fuoco agli autobus. Un’azione, è stata rivolta anche all’edificio dell’Enel a Santiago, dove è stato appiccato un incendio poi spento.

E siccome in Cile un generale non può mai mancare, ecco che a Santiago, fa il proprio ingresso Javier Iturriaga Arrilaga a cui le autorità politiche danno l’incarico di garantire la sicurezza e di ristabilire l’ordine. Nella capitale la situazione è ai limiti della guerra civile. Anarchici e antagonisti hanno circondato i carri armati ricevendone continue cariche militari ma un vero e proprio “raccordo” di forze militanti antagoniste, capaci di organizzare un moto rivoluzionario e in grado di mettere in discussione la stabilità del Paese e gli assetti di potere, non è presente anche se, dato il precipitare della situazione, non è da escluderne la possibilità.

Michelle Bachelet soffia sul fuoco, facendo presente al governo conservatore di Pinera l’immobilismo economico, come se il proprio, nella pressante opera demagogica e propagandistica, non avesse reso un dato di fatto tale secca. I mercati, si sa, hanno cordoni stretti e pazienza poca e ora bussano per un conto salatissimo.

Per quanto riguarda il presidente Sebastian Pinera: si è preoccupato di fare un passo indietro sospendendo l’aumento delle tariffe della metropolitana ma resta incredibile come un Paese in estremo affanno venga dallo stesso definito come una “oasi” di “tranquillità nella regione”, forse perché la ricchezza in Cile per le classi abbienti si è consolidata in una vera e propria roccaforte del privilegio, tanto da potervi officiare il vertice dei leader dell’APEC a metà novembre.

Da almeno un anno l’altalena del rame, cartina di tornasole dell’economia cilena rende instabili le borse; il Peso cileno si è deprezzato; la disoccupazione ha raggiunto punte dell’8%. Un disagio crescente dunque che porta la piazza a radicalizzarsi, fino a quando i militari non fanno la loro comparsa e nei paesi latinoamericani, i militari giungono sempre e nel momento in cui soffia la brezza della rivolta che può mettere di cattivo umore l’interlocutore statunitense.

Il Cile, è sull’orlo della disperazione. A Concepción, Rancagua, Punta Arenas, Valparaíso, Iquique, Antofagasta, Quillota e Talca, la stampa locale racconta di una paralisi enorme.
All’inizio della settimana, un semplice salto di tornelli degli studenti delle scuole superiori, contro il secondo aumento tariffario in meno di un anno, ha portato in piazza salariati e lavoratori che si ritrovano con pensioni, stipendi da fame, sovrattasse.

Il Cile dei poveri, è poverissimo, il governo tutela la classe dominante che è il proprio blocco sociale di riferimento e lascia inevase tutte le riforme che aveva garantito in campagna elettorale. Anzi, i rincari, i tagli alla spesa pubblica, non hanno giovato affatto giovato alla figura di Pinera che non ha certo risanato le misure depauperanti della Bachelet, nota tra l’altro per politiche antipopolari, neoliberiste e per la repressione dei movimenti popolari e indigeni nel suo paese durante il proprio mandato (cosa che è presente ancora oggi).

Mentre lo scorso venerdì, il Paese era scosso dalle proteste, Piner, si trovava a festeggiare il compleanno di un suo familiare in un rinomato ristorante del centro di Santiago. Evidentemente la sicurezza del pugno di ferro di memoria non troppo lontana, aveva solo per un attimo procrastinato la possibilità dell’esercito per le strade della capitale, concretizzata infatti poco dopo.

CP13R

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