COVID, LAVORATORI, SINDACATI E CONFINDUSTRIA

L’emergenza coronavirus, prevedibilmente, non avrebbe toccato tutti allo stesso modo e così infatti, è stato, soprattutto per subalterni, proletari, lavoratori.Si sono rivelati questi, essere mesi estremamente difficili per gli innumerevoli lavoratori ridotti alla cassaintegrazione o finiti per strada a causa dell’emergenza sanitaria e successivamente per la chiusura delle piccole e medie imprese.Ciò che ha messo in evidenza il Covid 19, sono i limiti di un sistema che non è in grado di contenere le proprie contraddizioni interne nelle continue e non più solo cicliche crisi economiche, sociali, politiche, ambientali ed etiche.A tale situazione di instabilità e che mette e continua a mettere seriamente in ginocchio le molte forze produttive, vi è la direzione oramai intrapresa da parte dei più importanti settori capitalistici, di affinare i propri strumenti tecnologici attraverso l’industria 4.0. Con tale definizione, si intende un processo legato alla quarta rivoluzione industriale e che tiene conto di una produzione industriale del tutto automatizzata e interconnessa.Le nuove tecnologie digitali faranno riferimento e svilupperanno quattro direttrici: la prima si incentrerà sull’utilizzo dei dati, la potenza di calcolo e la connettività, declinandosi in big data, open data, Internet of Things, machine-to-machine e cloud computing per la centralizzazione delle informazioni e la loro conservazione. La seconda si rivolge agli analytics che di fatto è l’estrazione del valore dai dati raccolti. La terza direttrice di sviluppo è l’interazione tra uomo e macchina, che coinvolge le interfacce “touch”, sempre più diffuse, e la realtà aumentata.Ultimo ma non per questo meno rilevante, vi è il settore che si occupa del passaggio dal digitale al “reale” e vi si include: la manifattura additiva, la stampa 3D, la robotica, le comunicazioni, le interazioni machine-to-machine e le nuove tecnologie per immagazzinare e utilizzare l’energia, razionalizzando i costi e ottimizzando le prestazioni, che si traduce di fatto: nell’aumento della produttività attraverso lo sfruttamento dei lavoratori e dove, l’elevata meccanizzazione della produzione porterebbe ad un processo domino che incrementerebbe i licenziamenti. Già tre mesi fa, Bonomi presidente di Confindustria ci faceva sapere che: “…in autunno molte imprese non riapriranno, altre dovranno ridimensionarsi. Non sappiamo cosa succederà domani, che ne sarà delle commesse, degli ordini, dei fornitori…”. A seguire delle parole di Alessio Rossi, presidente di Confindustria Giovani, riguardo il blocco dei licenziamenti: “È in corso un’aggressione verso le aziende”. Oppure: “La cassa integrazione è uno strumento necessario, ma non dimentichiamoci che è uno strumento rimpinguato dalle stesse aziende che vi partecipano con il 4% del monte salari. L’assurdità è che nelle prossime settimane assisteremo allo stop delle casse integrazioni, mentre il blocco dei licenziamenti continuerà fino al 17 agosto. Non tutti gli stabilimenti produttivi sono ripartiti, mancano le commesse: con questa imposizione si soffoca il tessuto imprenditoriale…” A conferma di tutto questo, ammesso ve ne fosse stato bisogno, abbiamo ricevuto anche le parole di Marco Bonometti presidente della Confindustria lombarda sulla cassaintegrazione “È una misura tampone, con un’enorme livello di disoccupazione che crescerà quando la cassa integrazione finirà e le aziende dovranno per forza di cose licenziare. Dall’inizio dell’emergenza, abbiamo circa 400 mila disoccupati in più, non oso immaginare cosa succederà quando cadrà il divieto di licenziamenti. E la colpa non sarà delle imprese, ma del governo che non ha creato le condizioni per la ripresa.”A Bonometti, ovviamente andrebbe fatto presente, che ciò che per il governo ha assunto carattere di urgenza, nel primo provvedimento significativo, è stato lo stanziamento di 400 miliardi di euro destinati totalmente alle imprese, con una ricaduta esigua nei confronti dei lavoratori a cui è stata destinata l’elemosina della cassaintegrazione che potrebbe sfiorare una perdita salariale fino al 37%.Non si richiede un eccessivo sforzo di fantasia, per riconoscere nelle parole di questi tre rappresentanti di Confindustria le chiare e consuete indicazioni dei padroni nel lasciare che siano i lavoratori a dover scontare la crisi e i propri costi: nei licenziamenti di massa e perpetratando lo sfruttamento di coloro a cui sarà concesso di rimanere in produzione, riducendo salari, diritti e soprattutto, quello di scioperare. Ad oggi il blocco dei licenziamenti è stato fissato al 17 agosto e al netto delle parole del governo Conte, non è escluso che si possa tener conto di una proroga e per le forti pressioni degli industriali e perché non è certo così peregrina l’ipotesi che non vi siano i soldi per lo slittamento della cassaintegrazione. Va aggiunto poi, che tutti questi soldi alle imprese da parte dello Stato, viene attuato attraverso l’aumento dell’indebitamento pubblico; tanto da far prevedere che il rapporto debito/PIL nel 2020 potrebbe superare il 160%, debito che ovviamente – anche qui va ribadito – verrà pagato dai lavoratori.Il capitalismo mai come in questa fase storica, manifesta la propria anarchia e la propria incapacità a dare soluzione ai problemi della società, anzi: non solo li mette in atto ma li aggrava sistematicamente. La ricerca incessante del profitto consente al padronato e al governo di approfittarsi della salute e della vita delle classi subalterne, nel “dividi et impera”, manomettendone i diritti e le libertà e per arricchirsi, privatizzano anche i servizi essenziali quali la sanità (ma contemporaneamente incrementano le spese militari). Il capitalismo non è il mezzo che consenta e conduca alla soddisfazione dei reali bisogni delle persone ma forse mai come tale crisi sanitaria ha dimostrato, in maniera evidente, che ciò che conta, e gli preme, è l’obiettivo del maggior profitto possibile per pochi.*lo stop ai licenziamenti scade il 15 novembreChiara PannulloCP13R

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