TOPSHOT - Venezuelan president Nicolas Maduro celebrates the results of "Constituent Assembly", in Caracas, on July 31, 2017. Deadly violence erupted around the controversial vote, with a candidate to the all-powerful body being elected shot dead and troops firing weapons to clear protesters in Caracas and elsewhere. / AFP PHOTO / RONALDO SCHEMIDT

SOLIDARIETA’ AL VENEZUELA, STRETTO TRA L’EMBARGO USA E IL COLPO DI STATO DI CASA MADRE STATUNITENSE!

È cosa nota oramai, che il presidente dell’Assemblea nazionale venezuelana, dominata dall’Opposizione, Juan Guaidó si sia proclamato “presidente ad interim” durante il corso di una manifestazione nell’est di Caracas (nel giorno dell’anniversario della rivolta popolare del 1958, quando a essere rovesciata fu la dittatura militare di Marcos Pérez Jimenez, in una contrapposizione temporale storica che non è di certo sovrapponibile al piano reale). La Casa Bianca che non ha mai dimenticato i fasti kissengeriani, ha dunque immediatamente annunciato di aver riconosciuto Guaidó quale legittimo presidente del Venezuela e nella migliore tradizione del colpo di Stato di matrice USA!

L’entusiasmo di Trump nello stabilire Guaidó, quale “presidente” del Venezuela al posto di Maduro (la cui libera elezione è del 2018) può essere considerata, né più né meno che la dichiarazione sguaiata di un paese che si è sempre dimostrato un gendarme e che, in nome delle proprie diplomazie, ha stabilito linee di sangue per tratte economiche indispensabili al mantenimento della propria parassitaria oligarchia nei confronti del mondo. Sarebbe un po’ ingenuo infatti stupirsi se non per considerazioni amare, che alle stesse conclusioni del Presidente Trump, sia pervenuto il suo ciambellano, Luis Almagro, segretario generale dell’Organizzazione degli Stati americani (Fidel Castro, a suo tempo, definii l’ Osa, il ministero delle colonie) e che riveste un ruolo di non secondaria importanza nel golpe e di cui sono noti gli inchini alla presidenza di Bolsonaro.

In Venezuela si infiammano le manifestazioni anti Maduro: mentre Russia, Cina e Turchia si dichiarano contrarie alle “interferenze esterne” e all’ingegnere trentacinquenne, Juan Guaidò.

La voce di Maduro, non si è fatta attendere e dal balcone del palazzo presidenziale di Caracas sono risuonate le sue parole: “Siamo la maggioranza, siamo il popolo di Hugo Chavez. Siamo in questo palazzo per volontà popolare, soltanto la gente ci può portare via”, intimando intanto ai diplomatici americani di lasciare il Venezuela entro 72 ore.

Il Venezuela, era diventato la bestia nera degli appetiti nordamericani, dal momento che Maduro, in continuità con Chavez, aveva nazionalizzato l’estrazione del petrolio in mano alle multinazionali, utilizzando i profitti per finanziare opere sociali. Questa storia però, ha inizio esattamente il 20 maggio, quando il popolo venezuelano ha confermato Nicolas Maduro alla presidenza con circa due terzi dei votanti e una partecipazione elettorale non inferiore a quella di molti altri Paesi. Legittimità, contestata da uno schieramento internazionale che ha visto immediatamente, non solo l’ostilità degli Stati Uniti di Trump ma anche governi di destra come quello brasiliano, quello argentino e quello colombiano (in Colombia, non c’è giorno che non vi sia un omicidio politico e in Brasile, dove parrebbe Bolsonaro non estraneo all’assassinio dell’attivista comunista Marielle Franco, la politica è dichiaratamente fascista e nostalgica della dittatura). Quando a Trump poi, è stato chiesto se contemplasse l’intervento dei militari statunitensi in Venezuela, non ne ha certo escluso la possibilità di intervento: “Non consideriamo nulla, ma tutte le opzioni sono sul tavolo”.

Anche l’Unione Europea ha mostrato il volto che ovviamente immaginavamo avrebbe prestato alla situazione – non dimentichiamo le sanzioni UE rinnovate ancora per un anno in Venezuela – rivolgendo “un appello urgente a dare immediato inizio ad un processo politico che porti ad elezioni libere e credibili, in conformità con l’ordinamento costituzionale. Il popolo venezuelano si è pronunciato in massa per la democrazia e per la possibilità di determinare liberamente il proprio destino. La sua voce non può essere ignorata”. In Italia, l’alto Rappresentante per la politica estera, Federica Mogherini, ha fatto da contraltare:” Bruxelles sostiene pienamente l’Assemblea Nazionale del Venezuela come istituzione eletta democraticamente e i cui poteri vanno ripristinati e rispettati”.

Macron si è poi superato, twittando: “Rendo omaggio alle centinaia di migliaia di venezuelani che marciano per la loro libertà. Dopo l’elezione illegittima di Nicolas Maduro nel maggio 2018, l’Europa sostiene il ritorno della democrazia”.

Diverso l’atteggiamento di Cina, Russia, Turchia, Siria e Iran, che hanno espresso solidarietà al Presidente. Le ragioni sono chiare, di fronte ad un’evidente isolamento economico e di embargo e al di là dei suoi sostenitori storici in America Latina (Cuba, Nicaragua, Bolivia): la Cina, ha realizzato la possibilità di relazioni commerciali future (l’alleanza della Cina con il chavismo ha rapporti fin dai tempi di Hugo Chávez. E’ del 2001 la firma per una ‘partnership di sviluppo strategico’, trasformandosi in ‘partnership strategica globale’ nel 2014, facendosi la Cina, garante per il Venezuela, di un prestito di circa 60 miliardi di dollari (rimborsati quasi tutti in petrolio e impegnandosi in congiunte operazioni di finanziamenti dove vi sono inclusi almeno 600 progetti) e ricevendo come agevolazione, l’accesso privilegiato al mercato venezuelano, con infrastrutture e concessioni) ed è interessante sapere anche che a visita conclusa di Maduro a Pechino nel 2015, l’America abbia imposto immediate nuove sanzioni .

Iran e la Siria affini sulla comune ostilità agli Stati Uniti, non si ritaglierebbero grossi spazi per iniziative bilaterali. La Russia, invece proprio per quell’economia, in Venezuela, in cui il petrolio investe un aspetto fondamentale, ha sempre espresso interesse per il Paese latinoamericano e sin dai tempi della presidenza di Hugo Chavez (tre anni dopo la morte di Chavez, nel 2016, l’accordo concluso tra Petróleos de Venezuela e Rosneft, ha fatto ottenere al colosso russo il 49,9 per cento della Citgo – che è importante sottolineare, si tratta della filiale Usa della compagnia petrolifera venezuelana con sede a Houston – e concesso licenze al “giacimento” di petrolio di Rosneft. Inoltre i porti venezuelani, hanno aperto alla flotta russa. Un segnale che non andrebbe sottovalutato nello scacchiere dell’America centrale e che assicura a Putin il mantenimento della stabilità governativa a Caracas e dintorni. L’apertura a Mosca infatti, si prospetta come un vera e propria minaccia, dal momento che insidia la longa manus Usa su un paese che ha sempre guardato come al proprio “giardino di casa”).

La Turchia ugualmente, ha stretto con il Venezuela interessanti relazioni commerciali (l’esportazione della Turchia in Venezuela riguarda la farina di grano, la pasta, il marmo, materiali per l’igiene personale, medicine e prodotti edilizi, il Venezuela invece, vende ad Erdogan: pietre preziose e semi-preziosi, oro, ferro, acciaio, perle e altri metalli. La Turchia, si è impegnata a prestare aiuti alla popolazione venezuelana per circa 5,1 milioni di dollari, con la concessione in esclusiva alle proprie aziende, dell’esplorazione dei giacimenti di oro, coltan (columbo-tantalite) e diamanti d cui il Paese è ricco).

La vicinanza dunque dei paesi imperialisti, come l’ostilità del blocco Nato-Eu (anche la Gran Bretagna), va considerata unicamente sotto l’ottica di ragioni di mercato e spartizioni, rotte commerciali e risorse importanti, tant’è che il vice ministro degli Esteri russo, Serghei Ryabkov, lo ha anche dichiarato: “Abbiamo sostenuto e continueremo a sostenere il Venezuela, che è nostro amico e nostro partner strategico. La cooperazione pratica tra la Russia e il Venezuela continuerà in diversi settori e non abbiamo alcuna intenzione di ridimensionarla”.

Del resto il Venezuela, è stritolato e le sanzioni americane non hanno fatto che inasprire le già precarie condizioni strutturali dell’economia. Se fino al 2017 le sanzioni Usa erano indirizzate unicamente ad alcuni alti funzionari o politici venezuelani, congelandone i beni e impedendone i visti per gli Stati Uniti, con le sanzioni introdotte dall’amministrazione Trump nell’agosto 2017, Washington ha impedito ogni possibilità di riscatto, vietando di fatto l’acquisto di obbligazioni emesse dalla Banca centrale venezuelana e di nuovo debito della Petroleos de Venezuela (la compagnia petrolifera statale) e ha così impedito a Maduro la possibilità di ri-finanziare le casse pubbliche. Gli Stati Uniti hanno nuovamente utilizzato il dispositivo sanzionatorio nel novembre 2018, proibendo l’esportazione di oro dal Venezuela.

Nel frattempo, in tale instabilità, un elemento che fa da collante è l’esercito e questo si è stretto attorno a Maduro. Fin dalla presidenza Chávez, il rapporto tra governo e alte gerarchie militari è stato molto stretto. Con Maduro il ruolo degli alti funzionari militari all’interno della macchina governativa è andato a rafforzarsi anche per la promozione a posizioni di rilievo nelle aziende statali, nel governo e nei programmi sociali pubblici e sia gli Stati Uniti e le opposizioni antigovernative sono consapevoli che senza l’appoggio delle forze militari, rovesciare Maduro potrebbe essere praticamente impossibile.

Le forze armate si sono dunque dichiarate fedeli a Nicolas Maduro e hanno concordato nel definire «estremamente pericoloso» l’atto con cui Juan Guaidò, presidente dell’assemblea nazionale, si è proclamato presidente ad interim del paese. «È in atto un colpo di stato contro la nostra democrazia», ha sostenuto il ministro della Difesa, Vladimir Padrino, attorniato da un gruppo di generali. «Riconosciamo come legittimo presidente il nostro comandante in capo, Nicolas Maduro», aggiungendo inoltre, che l’esercito «non accetterà mai un presidente al servizio di interessi oscuri» e «non si sottometterà ad una potenzia straniera».

La nostra posizione rimane la stessa, in Venezuela non è in corso alcuna rivoluzione socialista ma non è certo questo il momento adatto a sottolineare e fare la differenze delle diverse analisi geopolitiche (anche di alcuni settori trotzkisti) e della composizione di classe che da sempre portiamo avanti, crediamo sia più necessario invece, porci su quella parte della barricata che contrasti le oligarchie imperialiste, che non penda dalla parte dei golpisti che hanno inventato gli squadroni della morte, i voli della morte, il paramilitarismo, l’assassinio della cultura, l’Operazione Condor, i massacri di contadini e indigeni, il furto delle risorse pubbliche. E’ evidente che il cartello mediatico internazionale abbia trovato di che animarsi, per rispolverare le vecchie dialettiche da riedizione della paura di fronte alla Russia comunista, alla Cuba dittatoriale o al terrorismo internazionale (che mai si abbia a parlare dello Stato Islamico: costruzione occidentale, finanziata principalmente dal capitale nordamericano).

I marxisti, sono chiamati ad un’urgenza importante e che non può essere procrastinata, lottando perché questo tentativo di colpo di stato non abbia corso e difendendo il diritto del popolo del Venezuela all’autodeterminazione del proprio futuro!

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