CRISI DI GOVERNO? SALVINI SFIDUCIA CONTE, I 5 STELLE ALLO SBANDO.

La crisi si è aperta in pieno agosto, con le Camere chiuse e i normali lavori d’aula che ripartiranno solo dal 9 settembre.
Una crisi di governo in piena estate che potrebbe rivedere le urne in autunno (in Italia, in autunno, non si vota dal 1919)!
Insomma, non si è fatto mancare nulla il “ei fu” – parrebbe – governo gialloverde.
In effetti, nulla, in teoria, impedirebbe elezioni politiche anticipate e in qualsiasi data.

Il contrappeso è dato unicamente dalla volontà di uno dei partiti della maggioranza, quindi la Lega, di togliere la fiducia al governo che sostiene e alla scelta del Capo dello Stato di indire nuovi comizi elettorali che, nel momento in cui si verificasse l’impossibilità di far nascere un nuovo governo, porterebbe comunque il Colle a intentare questo come ultimo tentativo, anche se quasi sicuramente senza esito.

Una crisi di governo può avvenire per via parlamentare (il governo cade in Aula, come fu per il I e il II governo Prodi) con un partito di maggioranza che lo sfiducia, o per via extraparlamentare, che di norma è la prassi nella storia della Repubblica.

Nell’una, come nell’altra eventualità, il presidente del Consiglio, una volta appurata la crisi, sale al Colle per rassegnare le dimissioni. Nel secondo caso però, verifica se ancora gode ancora della fiducia delle Camere e “parlamentarizza” la crisi.
Conte potrebbe far richiesta a Mattarella di seguire questo iter: il voto sulla Tav non impegnava il governo che, invece, nel voto di fiducia sul dl Sicurezza bis, ha preso 160 voti, uno sotto la maggioranza assoluta (161), ma comunque la fiducia.

Il governo potrebbe restare in piedi con una sorta di rimpasto di governo (utilizzando Toninelli), evitando il passaggio per le Camere, o con un rimpasto vero e proprio (quindi con il cambio di due o più ministri), ma vedrebbe Mattarella, chiedere a Conte, di formalizzare il rimpasto con un passaggio alle Camere per verificare se gode ancora della loro fiducia. E in questo caso allora, si andrebbe a settembre. Se, invece – come a lume di naso parrebbe – la crisi fosse irreparabile e conclusi i tentativi per venirne a capo, non vi fossero che le elezioni, allora cambierebbero le dinamiche in atto: il Capo dello Stato, chiamatisi i presidenti delle Camere e dopo le consultazioni di rito, anche brevissime, indice le elezioni.

La Costituzione stabilisce l’iter che porta alle urne, così le leggi ordinarie e tiene conto del tempo minimo che deve intercorrere necessariamente dal giorno dello scioglimento delle Camere alle urne in 45 giorni e in 70 giorni quello massimo anche se il Viminale se ne prende 55/60 da quando votano gli italiani all’estero.

È allora che il Cdm si riunirebbe per approvare il dpR (decreto del Presidente della Repubblica) con cui stabilire data del voto. Ora però c’è da chiedersi: il cdm di quale governo? Teoricamente e come di regola, dovrà essere quello dimissionario, ossia quello Conte, ma già si considera possibile il governo tecnico di Mattarella.

Per la data del voto, vi sono sul tavolo delle ipotesi che lo pongono al 13 ottobre anche se è piuttosto improbabile: infatti le Camere dovrebbero essere sciolte a ridosso di Ferragosto. Per il 20 ottobre, le Camere verrebbero sciolte dopo Ferragosto, tra il 20 e il 22 agosto, mentre, per votare l’ultima domenica di ottobre, il 27, le Camere potrebbero essere sciolte il 27-28 agosto.

Chiara Pannullo

CP13R

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